Pietro Ivaldi
Pietro Ivaldi
Pietro Ivaldi, abile pittore sordomuto, così come viene definito da Don Bosco nella storia del Santuario della Madonna della Pieve, nacque a Toleto di Ponzone (AL), nella borgata di Piangamba, il 12 luglio 1810, da Giovanni e Anna Maria Ivaldi, in un casa che oggi non esiste più e che è andata distrutta in un incendio nei primi anni del dopoguerra.
In quegli anni Toleto, secondo quanto riportato dal Casalis, autore del pregevole dizionario geografico-storico-statistico-commerciale degli stati sabaudi, si presenta come un paese povero, prevalentemente contadino, composto da poche famiglie, gran parte delle quali residenti intorno alla chiesa, con una popolazione che, includendo la località Abasse, racchiude circa 120-140 anime.
Da qui un giovanissimo e già dotato Pietro, è partito alla volta di Acqui Terme, per poi dirigersi con la famiglia ad Asti.
Pietro Ivaldi, il Muto di Toleto
(Toleto di Ponzone 1810 - Acqui Terme 1885)
I viaggi
La sua attività artistica ha inizio con un alunnato presso l’Accademia Albertina di Torino la cui direzione era allora affidata a Giovanni Battista Biscarra, ove sicuramente entra in contatto con i paesaggisti De Gubernatis, Paroletti, D’Azeglio, Righini e Reviglio, da cui saprà mediare quella particolare disposizione alla pittura di paesaggio che lo caratterizzerà per l’intera esistenza.
Altri suoi punti di riferimento questa volta slegati dall’ambiente accademico, sono da individuare nelle opere eseguite nell’astigiano da Lorenzo Peretti a cui l’Ivaldi si riferisce nelle composizioni sacre di maggiore complessità, mai dimentico di quella tradizione pittorica italiana d’eccellenza su cui egli stesso aveva studiato durante i numerosi viaggi a Roma, Venezia e Firenze in compagnia del fratello Tommaso.
Tali viaggi furono fondamentali per vedere le opere dei grandi Autori e per trarne ispirazione negli affreschi.
Pietro diventò fonte di conoscenza e spesso unica occasione di rapporto con i maestri della cultura artistica italiana: Botticelli, Leonardo, Raffaello, Michelangelo, Guido Reni, spesso evocati richiamandosi alle opere più note, raffigurate con quel tanto di fantasia mista a verità in grado di rendere esplicita la dottrina cristiana anche alla povera gente delle campagne, che non conosceva la storia sacra, il Latino della Messa e che spesso era addirittura analfabeta.
L’essere sempre «in viaggio» caratterizza in seguito anche l’attività artistica di Pietro e Tommaso Ivaldi, la cui l’area geografica di produzione artistica interessa molte chiese di varie località del Basso Piemonte: Acqui, Montaldo Bormida, Ovada, Molare, Trisobbio, Ponzone, Rossiglione, Ciglione e tante altre, senza dimenticare altri interventi nell’astigiano, nel vercellese, nel casalese, nel cuneese, in Liguria, in Lombardia e nella vicina Francia. Quanto alla Francia, la tradizione familiare ricorda di un periodo in cui Pietro si recò all’estero, probabilmente nell’area dell’attuale Costa Azzurra, anche se mancano delle informazioni precise riguardo ai motivi e alla durata di tale viaggio.
Le rappresentazioni a tema orientale di Villa Vidua a Conzano, tanto in voga in Francia nell’Ottocento, potrebbero tuttavia esserne un’ulteriore conferma.
Pietro continuò incessantemente la sua attività artistica sino al 12 settembre 1885, quando di ritorno dalla Chiesa di Ciglione di Ponzone – dopo aver completato l’Opera – fu colto da un improvviso malore. L’artista morì il 19 settembre 1885 ad Acqui Terme, in Piazza del Pallone 14, città nella quale si era trasferito già da parecchio tempo.
Il Battesimo di Gesù
Guido Reni (a sinistra) e
Pietro Ivaldi (a destra)
Lo sposalizio della Vergine
Raffaello Sanzio (a sinistra) e
Pietro Ivaldi (a destra)
Decorazioni a tema orientale
Villa Vidua, Conzano (AL)
Il fratello Tommaso
Tommaso nacque il 1 ottobre del 1818, otto anni dopo Pietro, a Toleto di Ponzone.
Tommaso collaborò col fratello, valente stuccatore nella realizzazione delle opere artistiche. A lui vennero affidate soprattutto la preparazione dei colori e la cura delle decorazioni. Tommaso si occupò, inoltre, delle questioni “economiche”, stipulando contratti e occupandosi degli incassi.
Tommaso scomparve il 27 giugno 1897, all’età di 79 anni ad Acqui Terme, dopo aver passato quasi tutta la vita a fianco del fratello.
Autoritratto dei due fratelli
La vasta produzione
La vasta produzione del Muto, soprattutto affreschi, inizia a partire dagli Anni Trenta, e si protrae sino al 1885, anno della sua morte, avvenuta ad Acqui Terme, interessando molte chiese di varie località: Acqui Terme, Montaldo Bormida, Ovada, Molare, Trisobbio, Ponzone, Rossiglione, Ciglione e tante altre, senza dimenticare la sua attività nell’astigiano, nel vercellese, nel casalese ed anche in Liguria (Sassello, Celle Ligure) e in Lombardia.
La pittura del Muto, che affronta quasi sempre soggetti sacri, si connota con stesure piatte di colore, contorni netti ed una certa rigidezza compositiva, lontana dal brio delle pennellate vivaci e sottili di gusto barocco e Rococò dell’epoca. Pietro Ivaldi è tuttavia straordinario nel manifestare con varietà le diverse espressioni e i momenti legati a vicende e atmosfere particolari, consapevole della destinazione e del messaggio contenuto nelle opere. Eventi che riaccadono davanti agli occhi di tutti, dai fedeli più vicini a quelli più distanti. Colori luminosi accendono le sue scene, ambientate talvolta in paesaggi riconoscibili, come in un affresco della Parrocchiale di Visone, o nella Resurrezione del figlio della vedova di Naim della Parrocchiale di Molare, dove è individuabile il locale castello, o nella Madonna degli Angeli, della Chiesa di santa Caterina di Rossiglione Superiore con il fiume e il vecchio ponte.
Affreschi raffiguranti scorci dei luoghi del Muto
La pittura
La sua pittura si sposa perfettamente con l’ambiente socioculturale per cui è stata prodotta, in obbedienza alle esigenze di una committenza religiosa la cui prima missione era quella educativa. La sua arte diventa per le popolazioni delle campagne sopra indicate, sussidio visivo necessario per la catechesi che viene offerta attraverso la suggestione di un colore puro e la semplificazione delle forme costruite nel rigore di un segno disegnativo di chiara ascendenza accademica. Tuttavia l’accademismo del Muto si mescola ad una esigenza comunicativa diretta che si esprime attraverso una gestualità insistita impossibile da eludere in un rapporto anche superficiale con la sua pittura.
Questa gestualità che è la caratteristica stilistica dominante della sua arte, è da connettere direttamente alla sua infermità (Pietro viene infatti soprannominato “il Muto” in quanto sordomuto, dalla nascita, o comunque fin da bambino, come alcuni sostengono, in seguito ad uno spavento) e alla pratica del linguaggio dei gesti, linguaggio che in quegli anni veniva codificato da Padre Assarotti e che proprio ad Acqui Terme avrebbe avuto un buon diffusore in Don Francesco Bracco attivo in città a partire dalla fine del III decennio del secolo. La corrispondenza fra i gesti dei personaggi del Muto e la gestualità codificata nel linguaggio dei segni, emerge chiara al confronto di quelli con questa, ad indicare una precisa volontà da parte dell’artista di istituire un doppio livello comunicativo con la sua utenza. Questa dimensione gestuale dominante allude anche a quella dimensione di fede ingenua e intensa che si coniuga ad una devozione profonda tipica di chi vede nel rapporto con la divinità una via d’uscita per sopportare condizioni di vita difficili: le condizioni di vita delle campagne italiane di due secoli fa.
Madonna col bambino e Angeli
Sotto, particolari degli angeli
le cui pose significano Amore e Chiesa nel linguaggio dei gesti.